Rappresentano la tradizione culinaria della Puglia e la loro lavorazione artigianale le rende ancora più uniche e insuperabili. Stiamo parlando, naturalmente, delle orecchiette, la prelibata pasta fresca dalla forma tonda e concava, conosciuta e apprezzata in tutta la nostra penisola.
Ancora oggi, si dice orecchiette e si pensa subito a Bari.
È vero che si tratta di una pasta fresca tipica dell’intero territorio regionale, ma è nell’area del capoluogo che è nata la ricetta e viene conservata più gelosamente. Già nel Medioevo, infatti, veniva prodotta nella zona una pasta fresca utilizzando il grano duro coltivato e raccolto nel vicino Tavoliere.
La forma nasceva da un’esigenza pratica, quella della conservazione della pasta per i tempi di carestia: l’incavo centrale facilitava l’essiccazione. A rafforzare il rapporto delle orecchiette con Bari, c’è anche un atto notarile ritrovato negli archivi della Chiesa di San Nicola.
Si tratta di un documento di cessione di un panificio risalente al 1500, in cui si legge che il proprietario del panificio in questione, nel cedere l’attività alla figlia, indica come dote matrimoniale di quest’ultima quella di preparare le famose “recchjetedde”.
Per quanto riguarda l’appartenenza di questo tipo di pasta alla tradizione pugliese, invece, possiamo riferirci a un’opera dello scrittore napoletano Giambattista del Tufo, nel 1500. L’autore, esperto degli usi e costumi dell’Italia Meridionale, parlando delle “strascinate e maccheroni incavati di Bari”, assegna l’appartenenza delle orecchiette proprio al capoluogo pugliese. Secondo la ricetta tipica regionale, le orecchiette devono essere preparate esclusivamente con farina di grano duro, acqua e sale.La loro preparazione prevede che vengano “strascinate” sullo spianatoio, così da conferire loro il tipico aspetto ruvido all’esterno, ma liscio all’interno.
Concludiamo questo percorso nella storia delle orecchiette pugliesi con una simpatica curiosità. Secondo antiche usanze, le orecchiette avevano anche un potere predittivo: erano, infatti, utilizzate dalle future mamme per prevedere il sesso del nascituro, attraverso un semplice “rituale”. In una pentola d’acqua, venivano gettati un’orecchietta e uno zito, un altro tipo di pasta. Se, al momento del bollore, fosse salita in superficie prima l’orecchietta, il nascituro sarebbe stato una femmina, al contrario si avrebbe avuto un maschietto.